mercoledì 2 marzo 2011

Introduzione

Introduzione

Antonio, classe 1919 e sottolineo: mil-le-no-ve-cen-to-di-cian-no-ve. Nasce da Ottavio e Carmelinda, il 6 d’ottobre a Casale Marittimo, in provincia di Pisa, agli albori del ventennio maledetto, e si barcamena tra le tenute dei conti della Gherardesca, San Vincenzo e Collemezzano, nelle campagne di Cecina. Per inciso, io ho sempre conosciuto sua madre come nonna Sabatina e solo sulla sua lapide ho scoperto quale era, in realtà, il suo nome di battesimo.
Partito per il servizio militare il 3 di gennaio del ’41, in ritardo di un anno in quanto rivedibile alla prima visita di leva, viene tristemente coinvolto, come tutti i suoi coetanei d’altronde, nelle vicende belliche del secondo conflitto mondiale, con tutte le atrocità che ne sono derivate. Se è minima la coincidenza che anch’io sono partito per il servizio militare il giorno 3, questa volta d’agosto del 1983, è senz’altro più rilevante il fatto che esattamente nello stesso giorno di gennaio di 43 anni più tardi nasceva suo nipote, mio figlio. 
La destinazione è il 13° Battaglione dei Cavalleggeri “Monferrato”, di stanza a Voghera e, dopo oltre un anno d’addestramento, viene inviato in missione in Albania dove, purtroppo, trascorrerà quasi quattro lunghissimi anni, due dei quali senza aver modo di inviare notizie a casa e tanto meno di riceverne.
Molti episodi hanno caratterizzato quel lunghissimo e triste periodo ed ho voluto raccogliere parte di essi in questo volume che da a13a.gifsempre ho sognato di scrivere. Ci tengo a far presente che ho ascoltato svariate volte le storie di mio padre, ma solo tardivamente ho preso la decisione di mettere nero su bianco allo scopo di rendere partecipe, chi le leggerà, delle peripezie vissute da quegli sventurati che, come Antonio (o più precisamente Tonino, come lo chiamavano all’epoca), hanno avuto la disdetta di trovarvisi coinvolti.
Le difficoltà sono emerse, quando ho cercato i luoghi nei quali si erano sviluppati i fatti a cui fa riferimento nelle sue narrazioni. Tenendo presente che sono passati più di sessanta anni dal più recente degli episodi, pretendere una precisione maggiore è pura follia. Oltretutto, sarà possibile comprendere il motivo di qualche approssimazione se si pensa che Tony ed i suoi compagni di sventura hanno trascorso il periodo in questione a sfuggire da possibili esecuzioni ad opera di eserciti avversi, da probabili prigionie nei famigerati lager nazisti oppure ancora a cercare la via di ritornare a casa, piuttosto che a rendersi conto di come, dove e perché i fatti si svolgevano.
Questa non è la “storia” del nostro esercito e tanto meno il diario di uno dei soldati dispersi in Albania dopo l’epilogo di quello sciagurato 8 settembre del 1943: è solo il risultato di una serie di racconti “attorno al fuoco” estratti, in ordine sparso, dalla voce di un uomo che ha davvero vissuto quelle esperienze. Nel narrare gli episodi più toccanti, la voce si è inevitabilmente incrinata per un accesso di commozione a stento dominato dal suo carattere sensibile. Tonino ha davvero fatto parte di quei centomila soldati ed oltre che costituivano le forze militari dell’Esercito Italiano in Albania. Agli ignari militari dei contingenti inviati oltre l’Adriatico, mal vestiti, estremamente malnutriti ed altrettanto mal guidati, fu assegnato l’improbabile, per non dire impossibile compito di recuperare la disastrosa e fallimentare Campagna di Grecia. Dopo l’8 settembre ed il disgraziato epilogo, molti soldati italiani, guidati da ufficiali all’altezza della situazione, si sono uniti alla resistenza albanese conglobando le forze verso il comune nemico allo scopo di liberare l’Albania stessa dall’occupazione tedesca.
Tonino ed i suoi compagni di sventura no! Essi, lasciati completamente allo sbando da comandanti evidentemente dal polso debole, in balia del destino, hanno cercato e trovato rifugio presso alcune famiglie del posto sforzandosi di tirare avanti, pronti ad approfittare della prima occasione per tornare in patria. Non mancano settimane intere trascorse a girovagare per i boschi dell’entroterra, senza cibo e senza una meta cui fare riferimento per un possibile ricovero.
Tonino non è un eroe ma uno dei tantissimi, dimenticati protagonisti del drammatico epilogo della seconda guerra mondiale e di quella sventurata campagna.
Il ritorno in patria va inteso come coronamento dell’estrema determinazione che le avversità patite nella terra ostile non hanno fatto scemare. All’inizio d’agosto del quarantacinque, o alla fine di luglio, le testimonianze discordano, Tonino ritorna a casa in preda ad una febbre malarica che i sanitari dell’ospedale di Gioia del Colle avevano, a suo tempo, definito cronica, ma che si è poi fortunatamente risolta per il meglio. Il ricongiungimento con la famiglia e l’incontro con l’amata, che qualcuno aveva anche cercato di fargli dimenticare, sono il giusto premio per l’esule ammalato; e poco importa se, alla prima occhiata, Tonino non riconosce la ragazzina sedicenne che aveva lasciato e che si era naturalmente evoluta in una giovane donna di vent’anni pronta ad accudire al suo uomo ed alla futura famiglia.

E che dire di Giorgina? Mia madre, di sei anni scarsi più giovane, si era promessa sposa al suo uomo fin dalla tenera età di quattordici anni ed ha atteso con trepidazione che egli ritornasse dalla guerra. Pur non ricevendo notizie per diciannove lunghissimi mesi tuttavia gli è rimasta fedele, confidando nella felice risoluzione di una vicenda che tutti consideravano senza futuro. A dispetto del burbero padre, che già s’immaginava una “vedovina in giro per casa”, la pazienza di mia madre è stata finalmente premiata con la ricongiunzione all’anima gemella.
A casa avrà probabilmente ricevuto più di una proposta, in relazione alla floridezza della giovane età, ed avrà subito critiche più o meno dure da parte di conoscenti o familiari che, meno di lei, credevano nel ritorno dello sperduto e sfortunato protagonista della seconda guerra mondiale. Eppure non ha esitato: quando il suo lui ha fatto ritorno in patria, Giò aveva da qualche mese compiuto i venti anni e riceveva il meritato premio per aver atteso lungamente e, negli ultimi diciannove mesi, senza sapere perché, il suo cavaliere errante. Giò ha sempre fermamente creduto che, nonostante la scarsità e, in seguito, l’assoluta mancanza di notizie, Tonino sarebbe tornato, un giorno o l’altro, a stringerla tra le sue braccia.

Inframmezzate alle avventure militari ed alle vicende post-militari di Tonino, ho raccolto alcune sensazioni trasmessemi dalla memoria di Giorgina, la protagonista femminile della vicenda, che da sessanta anni ed oltre condivide con lui i crucci e le gioie della convivenza matrimoniale.
Nei suoi resoconti, spicca la necessità di ricevere notizie e la continua ricerca del prete o del Conte di turno, personaggi influenti nella povera società contadina, che fossero in grado di entrare in contatto con il suo uomo, oltre l’Adriatico, o quantomeno con qualcuno che ne avesse sentito parlare. Ciò che prevale nei suoi ricordi, tuttavia, è ben altro. Di continuo si respira la fresca brezza della speranza e, nonostante tutto, la fiducia nei disegni del destino che, dapprincipio crudele, possa saldare il grave debito, restituendole il maltolto ancora prima di goderne realmente il contatto.

Il caro vicino di casa, premonitore sul letto di morte, è l’ultimo, disperato appiglio a cui aggrappare la speranza del ritorno, di lì a breve concretizzatosi nell’abbraccio del futuro consorte.

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