Introduzione
Antonio, classe 1919 e sottolineo:
mil-le-no-ve-cen-to-di-cian-no-ve. Nasce da Ottavio e Carmelinda, il 6 d’ottobre
a Casale Marittimo, in provincia di Pisa, agli albori del ventennio maledetto, e
si barcamena tra le tenute dei conti della Gherardesca, San Vincenzo e
Collemezzano, nelle campagne di Cecina. Per inciso, io ho sempre conosciuto sua
madre come nonna Sabatina e solo sulla sua lapide ho scoperto quale era, in
realtà, il suo nome di battesimo.
Partito per il servizio militare il 3 di
gennaio del ’41, in ritardo di un anno in quanto rivedibile alla prima visita di
leva, viene tristemente coinvolto, come tutti i suoi coetanei d’altronde, nelle
vicende belliche del secondo conflitto mondiale, con tutte le atrocità che ne
sono derivate. Se è minima la coincidenza che anch’io sono partito per il
servizio militare il giorno 3, questa volta d’agosto del 1983, è senz’altro più
rilevante il fatto che esattamente nello stesso giorno di gennaio di 43 anni più
tardi nasceva suo nipote, mio figlio.
La destinazione è il 13° Battaglione dei
Cavalleggeri “Monferrato”, di stanza
a Voghera e, dopo oltre un anno d’addestramento, viene inviato in missione in
Albania dove, purtroppo, trascorrerà quasi quattro lunghissimi anni, due dei
quali senza aver modo di inviare notizie a casa e tanto meno di
riceverne.
Molti episodi hanno caratterizzato quel
lunghissimo e triste periodo ed ho voluto raccogliere parte di essi in questo
volume che da
sempre
ho sognato di scrivere. Ci tengo a far presente che ho ascoltato svariate volte
le storie di mio padre, ma solo tardivamente ho preso la decisione di mettere
nero su bianco allo scopo di rendere partecipe, chi le leggerà, delle peripezie
vissute da quegli sventurati che, come Antonio (o più precisamente Tonino, come
lo chiamavano all’epoca), hanno avuto la disdetta di trovarvisi
coinvolti.
Le difficoltà sono emerse, quando ho
cercato i luoghi nei quali si erano sviluppati i fatti a cui fa riferimento
nelle sue narrazioni. Tenendo presente che sono passati più di sessanta anni dal
più recente degli episodi, pretendere una precisione maggiore è pura follia.
Oltretutto, sarà possibile comprendere il motivo di qualche approssimazione se
si pensa che Tony ed i suoi compagni di sventura hanno trascorso il periodo in
questione a sfuggire da possibili esecuzioni ad opera di eserciti avversi, da
probabili prigionie nei famigerati lager nazisti oppure ancora a cercare la via
di ritornare a casa, piuttosto che a rendersi conto di come, dove e perché i
fatti si svolgevano.
Questa non è la “storia” del nostro
esercito e tanto meno il diario di uno dei soldati dispersi in Albania dopo
l’epilogo di quello sciagurato 8 settembre del 1943: è solo il risultato di una
serie di racconti “attorno al fuoco” estratti, in ordine sparso, dalla voce di
un uomo che ha davvero vissuto quelle esperienze. Nel narrare gli episodi più
toccanti, la voce si è inevitabilmente incrinata per un accesso di commozione a
stento dominato dal suo carattere sensibile. Tonino ha davvero fatto parte di
quei centomila soldati ed oltre che costituivano le forze militari dell’Esercito
Italiano in Albania. Agli ignari militari dei contingenti inviati oltre
l’Adriatico, mal vestiti, estremamente malnutriti ed altrettanto mal guidati, fu
assegnato l’improbabile, per non dire impossibile compito di recuperare la
disastrosa e fallimentare Campagna di Grecia. Dopo l’8 settembre ed il
disgraziato epilogo, molti soldati italiani, guidati da ufficiali all’altezza
della situazione, si sono uniti alla resistenza albanese conglobando le forze
verso il comune nemico allo scopo di liberare l’Albania stessa dall’occupazione
tedesca.
Tonino ed i suoi compagni di sventura no!
Essi, lasciati completamente allo sbando da comandanti evidentemente dal polso
debole, in balia del destino, hanno cercato e trovato rifugio presso alcune
famiglie del posto sforzandosi di tirare avanti, pronti ad approfittare della
prima occasione per tornare in patria. Non mancano settimane intere trascorse a
girovagare per i boschi dell’entroterra, senza cibo e senza una meta cui fare
riferimento per un possibile ricovero.
Tonino non è un eroe ma uno dei tantissimi,
dimenticati protagonisti del drammatico epilogo della seconda guerra mondiale e
di quella sventurata campagna.
Il ritorno in patria va inteso come
coronamento dell’estrema determinazione che le avversità patite nella terra
ostile non hanno fatto scemare. All’inizio d’agosto del quarantacinque, o alla
fine di luglio, le testimonianze discordano, Tonino ritorna a casa in preda ad
una febbre malarica che i sanitari dell’ospedale di Gioia del Colle avevano, a
suo tempo, definito cronica, ma che si è poi fortunatamente risolta per il
meglio. Il ricongiungimento con la famiglia e l’incontro con l’amata, che
qualcuno aveva anche cercato di fargli dimenticare, sono il giusto premio per
l’esule ammalato; e poco importa se, alla prima occhiata, Tonino non riconosce
la ragazzina sedicenne che aveva lasciato e che si era naturalmente evoluta in
una giovane donna di vent’anni pronta ad accudire al suo uomo ed alla futura
famiglia.
E che dire di Giorgina? Mia madre, di sei
anni scarsi più giovane, si era promessa sposa al suo uomo fin dalla tenera età
di quattordici anni ed ha atteso con trepidazione che egli ritornasse dalla
guerra. Pur non ricevendo notizie per diciannove lunghissimi mesi tuttavia gli è
rimasta fedele, confidando nella felice risoluzione di una vicenda che tutti
consideravano senza futuro. A dispetto del burbero padre, che già s’immaginava
una “vedovina in giro per casa”, la pazienza di mia madre è stata finalmente
premiata con la ricongiunzione all’anima gemella.
A casa avrà probabilmente ricevuto più di
una proposta, in relazione alla floridezza della giovane età, ed avrà subito
critiche più o meno dure da parte di conoscenti o familiari che, meno di lei,
credevano nel ritorno dello sperduto e sfortunato protagonista della seconda
guerra mondiale. Eppure non ha esitato: quando il suo lui ha fatto ritorno in
patria, Giò aveva da qualche mese compiuto i venti anni e riceveva il meritato
premio per aver atteso lungamente e, negli ultimi diciannove mesi, senza sapere
perché, il suo cavaliere errante. Giò ha sempre fermamente creduto che,
nonostante la scarsità e, in seguito, l’assoluta mancanza di notizie, Tonino
sarebbe tornato, un giorno o l’altro, a stringerla tra le sue
braccia.
Inframmezzate alle avventure militari ed
alle vicende post-militari di Tonino, ho raccolto alcune sensazioni trasmessemi
dalla memoria di Giorgina, la protagonista femminile della vicenda, che da
sessanta anni ed oltre condivide con lui i crucci e le gioie della convivenza
matrimoniale.
Nei suoi resoconti, spicca la necessità di
ricevere notizie e la continua ricerca del prete o del Conte di turno,
personaggi influenti nella povera società contadina, che fossero in grado di
entrare in contatto con il suo uomo, oltre l’Adriatico, o quantomeno con
qualcuno che ne avesse sentito parlare. Ciò che prevale nei suoi ricordi,
tuttavia, è ben altro. Di continuo si respira la fresca brezza della speranza e,
nonostante tutto, la fiducia nei disegni del destino che, dapprincipio crudele,
possa saldare il grave debito, restituendole il maltolto ancora prima di goderne
realmente il contatto.
Il caro vicino di casa, premonitore sul
letto di morte, è l’ultimo, disperato appiglio a cui aggrappare la speranza del
ritorno, di lì a breve concretizzatosi nell’abbraccio del futuro
consorte.
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